Parrocchiale dei Santi Faustino e Giovita

Descrizione

La chiesa sorge su un costone roccioso poco distante dall'abitato di Malonno in direzione della contrada di Odecla. Si tratta di una zona caratterizzata da ciglioni a strapiombo che degradano verso sud in località Còrnola. Tutto il sito in epoca preistorica sembra svolgesse un ruolo specificatamente religioso: ne sarebbero una prova i ritrovamenti archeologici e il permanere di leggende collegate al luogo. 



Primitiva Costruzione Monastica 

L'originaria chiesa o cappella dedicata ai Santi Faustino e Giovita sorse al più tardi nell'XI-Xll secolo ad opera dei monaci benedettini del Monastero di S. Faustino di Brescia. Di questo fatto non esistono prove, ma la presenza in terra camuna di chiese intitolate ai Patroni bresciani, di solito è la spia di un legame con l'omonimo monastero bresciano: è il caso di Darfo, di Bienno e quasi certamente anche di Malonno.
Purtroppo dell'antichissimo piccolo e semplice edificio pare non sia rimasta traccia nonostante il tentativo compiuto dagli studiosi di identificare una «cripta dei frati» sotto l'attuale sacrestia. 



La Chiesa Rinascimentale 

Il complesso architettonico attuale della chiesa comprende invece alcune parti di stile quattrocentesco. L'edificio sacro preesistente di età medievale venne infatti ricostruito e ampliato tra il XV e la prima metà del XVI secolo. Il presbiterio era quasi perpendicolare all'attuale costruzione. Parte dell'abside poligonale rivolta verso oriente è ancora visibile; esternamente reca appena sotto il vertice del tetto l'originaria finestrella a forma di croce, ora murata, mentre le altre aperture sono opera più recente. All'interno quello che con tutta probabilità era il coro e il presbiterio, fin dal XIX secolo venne adibito a ripostiglio.
Prima del crollo avvenuto attorno alla metà del nostro secolo, si potevano comunque osservare ancora arcate a sesto acuto e volte a crociera con gli antichi affreschi del XV-XVI. Una manomissione recente ha poi reso quasi inaccessibile la visione dei resti dell'antica struttura. 


Il campanile

Ma la parte meglio conservata della chiesa rinascimentale è il campanile, posto sul lato sud-est. La muratura possiede le caratteristiche arcaiche nel taglio della pietra scalpellata che si riscontrano in altre costruzioni camune, come le chiese dell'Annunziata a Bienno (XIV-XV sec.), S. Maria a Esine (XIV-XV sec.), S. Giovanni a Edolo (XVI sec.). Pare inoltre che fino al 1959 quando vennero rifuse, anche le cinque campane fossero ancora quelle originarie. Il campanile, di circa 23 metri, risulta evidentemente sproporzionato rispetto alla chiesa attuale di qualche metro più alta. Tuttavia anche questa chiesa rinascimentale doveva avere una discreta grandezza se era dotata di tre altari. 

Sul finire del Cinquecento non risultava in condizioni di cura e manutenzione adeguate, se il vescovo di Brescia Domenico Bollani aveva modo di dire che le pareti necessitavano di una urgente imbiancatura. Il Cardinale di Milano Carlo Borromeo nella sua visita dell'estate del 1580 la trovò comunque adeguatamente ampia per fungere da chiesa parrocchiale, visto che la popolazione aveva raggiunto i 1500 abitanti e S. Maria a Lava era diventata ormai un po' stretta. Dispose quindi che il parroco si trasferisse a S. Faustino, dove doveva essere preparata per lui una degna dimora. Motivi economici e contrasti tra le contrade rimandarono il trasloco fino al 1717. Intanto la chiesa svolgeva comunque le funzioni di parrocchiale ed aveva migliorato molto il proprio decoro al punto che sul finire del Seicento era descritta come «chiesa assai ricca e maestosa». Proprio in quegli anni padre Leonida Celeri (Malonno 1634 - Brescia 1713) contribuì con denaro e competenza ad abbellire sempre di più la chiesa del suo paese natale, dove tornava spesso in estate per la villeggiatura, interrompendo il suo ministero presso i Padri della Pace di Brescia. 



La chiesa del XVIII Secolo 

Agli inizi del settecento era ormai chiaro però che anche la chiesa di S. Faustino non avrebbe potuto bastare ancora per molto a contenere i tantissimi fedeli che, in occasione soprattutto delle feste più importanti, accorrevano dalle numerose contrade. Ancora una volta l'aiuto venne da padre Leonida: nel suo testamento quello che era l'ultimo rampollo della ricca casata che aveva per tanti anni legato la propria storia a quella di Malonno, lasciò l'esorbitante cifra di 10.000 scudi perché «essendo la Chiesa Parrocchiale angusta ed antica, sia fatta altra nuova più capace». Doveva essere un sogno che accarezzava da molto, se lui, esperto di architettura, aveva già pensato, al luogo e alla disposizione per la nuova costruzione.
Si attese comunque l'inizio del 1731 per dare il via all'opera. Vennero presi contatti addirittura con il maggiore degli architetti bresciani del tempo, Antonio Corbellini, forse grazie alla nobile famiglia bresciana Martinengo da Barco un cui componente, Marc'Antonio, era stato esiliato a Malonno e aveva sposato Margherita Celéri. 



Il progetto Corbellini

Il progetto di Corbellini venne realizzato quasi fedelmente nell'arco di un ventennio, risultando un quasi completo rifacimento delle strutture precedenti. L'orientamento dell'edificio venne modificato e rivolto a sud per esigenze di spazio, andando ad occupare probabilmente terreni fino ad allora adibiti a camposanto; i resti venuti alla luce vennero raccolti in un apposito ossario costruito sotto la nuova sacrestia. Sorse quindi una chiesa molto grande, capace davvero di contenere i fedeli di tutta la terra di Malonno. La limpidezza architettonica della facciata, soprattutto l'ottima articolazione spaziale dell'interno e la luminosità dell'insieme, bilanciano la sensazione di eccessiva imponenza dovuta alla ristrettezza del luogo, alla pulizia delle pareti laterali esterne e al mantenimento dell'antico campanile evidentemente sproporzionato.
Per il decoro vennero riutilizzate alcune delle opere più preziose della chiesa «vecchia»: il «S. Sebastiano» attribuito da alcuni al Tintoretto (1518-1604), la «Deposizione» di scuola veneta del XV-XVI secolo. Per le opere principali in marmo, il portale e l'altar maggiore, pose mano il comasco trapiantato in terra camuna Carlo Gerolamo Rusca, il quale si avvalse per alcuni particolari della competenza della apprezzata bottega dei Fantoni di Rovetta nella Bergamasca. Per le opere in legno ci si rivolse soprattutto a mastro Luigi Pietroboni di Vione. Il pavimento venne lastricato con pietre grigie appena sgrossate. Alla pala dell'altar maggiore si pensò subito, mettendo all'opera Giulio Quaglio (1668-1750/51) uno dei maggiori del '700 bresciano. Ci volle più tempo per veder decorare le grandi volte: quella d'ingresso venne affrescata attorno al 1761 da Paolo Corbellini, pittore di origine comasca ma molto attivo in Valle Camonica; mentre le altre due attesero fino al 1787 quando vi pose mano Domenico Giuseppe Quaglio, figlio di Giulio. Pochi anni prima era stato realizzato l'organo, forse dai Bonatti di Desenzano o da altri abili maestri della scuola organaria gardesano-veronese. È il periodo in cui prende sostanza anche la pratica del «Triduo dei Morti», per il quale fu voluta una spettacolare «macchina» lignea.
Il lascito di padre Leonida era stato dunque soltanto l'inizio: la generosità della popolazione non accennava ad affievolirsi. La chiesa era pronta pertanto per la consacrazione ufficiale da parte del vescovo di Brescia Gabrio Maria Nava: era il 23 agosto 1829; ne fa memoria il medaglione affrescato in azzurro e oro, posto sopra la bussola d'ingresso. I decenni successivi videro una serie lunghissima di migliorie fra le quali la pavimentazione del presbiterio e della corsia centrale, la modifica degli altari laterali, il rifacimento delle campane. Con l'edificazione del santuario di S. Maria Ausiliatrice (1966) in una collocazione più agevole per la popolazione, la chiesa di S. Faustino venne sempre meno utilizzata, cadendo in uno stato di degrado e abbandono. Soltanto con i primi anni '80 si è assistito ad una vera e propria rinascita per il sacro edificio, ritornato peraltro ad un continuo, seppur limitato, uso liturgico, specie nelle solennità. Fanno fede della generosità e laboriosità della popolazione, tra le altre cose, il recupero della macchina del triduo, la sistemazione dell'organo, oltre ai restauri strutturali non ancora completati. 



Opere in marmo

Gran parte delle principali opere in marmo della chiesa escono dalla bottega di uno dei maestri marmorai più importanti all'opera in terra camuna nella seconda metà del XVIII secolo, Carlo Gerolamo Rusca. Per realizzazioni di particolare qualità ricorreva spesso alla famosa Bottega dei Fantoni. Spicca in particolare l'ottima policromia dei marmi utilizzati per l'altar maggiore. Il paliotto scolpito raffigura il sacrificio d'Isacco. Le statue dei Santi Patroni e di angeli decorano la cimasa. Tra i documenti dei Fantoni risulta nel 1760 la realizzazione di due angeli in marmo, probabilmente le due grandi statue sui lati dell'altare. Al Rusca viene attribuito anche il maestoso portale principale, una composizione in marmi grigi, molto simile a quello realizzato dal marmoraio comasco nel 1758 per la parrocchiale di Orzivecchi (dove a quel tempo il parroco era un malonnese). Di incerta attribuzione la balaustrata che separa il presbiterio dalla navata, cosa come i due portali laterali, quello della sacrestia, e le acquasantiere all'ingresso principale. Gli altari iaterali non posseggono particolari qualità. Tuttavia merita di essere apprezzata la combinazione cromatica dei marmi del primo altare di destra (delle Anime Purganti).

Modalità di accesso

L'accesso è libero.